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6/10/2019 - La Via Amerina - Falerii Veteres - Civita Castellana



Informazioni sull'uscita

Data: 6/10/2019

Difficoltà:

- Escursione facile

Distanza in auto: 180 km (a/r)

Lunghezza percorso a piedi: 4 km

Note:

         

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Spezzone del Film L’armata Brancaleone girato all’interno della chiesa di S. Maria di Faleri


Film di grande importanza nel panorama nazionale ed internazionale.
Faleri entra nel film (anno 1966) con una scena che si svolge proprio all’interno della Chiesa, allora deruta, senza tetto e con il pavimento in erba.
Ovviamente esigenze sceniche modificarono radicalmente l’aspetto della chiesa, trasformata nel film nel palazzo dei Leonzi dove Brancaleone (Gassman) e Teofilatto dei Leonzi (Volontè) si recano per estorcere denaro ai familiari di Teofilatto ma da questi sono scacciati.



Altre info le potete trovare cliccando qui

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Resoconto di una escursione nel luogo di Falerii del 2012

“L’ODIERNA ESCURSIONE "

Oggi scopriamo un breve tratto di una Via, l’Amerina, che coniugava il territorio Falisco con quello umbro. Di lei si diceva che già, “ab antiquo”, dalla etrusca Veio si spingesse su nell’alto nord a lambire le lagune Venete. Una certa opinabile letteratura la riporta come “Via romana”, e noi siamo fermamente convinti del contrario soprattutto per la datazione dell’anno di costruzione della stessa, fissato al IV sec. A.C., ma forse potrebbe essere anche precedente. Semmai la romanizzazione ne ha “coagulato” tutti i suoi principali tratti; le caratteristiche fisiche ne connotano la sua chiara origine “falisca”: la sua carreggiata di circa 3 mt. mostra tutto il suo D.N.A.. I romani, dopo il III sec. A.C., l’hanno lastricata con “basoli”, sovrapponendo, al fondo stradale etrusco-falisco di tufo con canalina, le pietre caratteristiche tutt’ora evidenti ma, sicuramente, il raccordo Veio-Roma è frutto di intervento romano.

Utile alla storia italiana, la Via Amerina, ha finito i suoi giorni nel tardo medioevo quando al termine del conflitto longobardo-bizantino, iniziò un lento abbandono.

Sempre affascinante appare questo tratto di strada che, ancor prima di risegarsi nel tufo, supera il fosso dei tre ponti con un’elegante ed imponente struttura a più arcate. Dal ponte la Via ha già lasciato alle sue spalle Nepi, l’Isola Conversina e la Torre dello Stroppa, che sono le uniche emergenze significative verso Roma, mentre a nord si accinge a superare il Fosso Maggiore, il Rio Calello e del Purgatorio. Ma in un lontano passato la Via Amerina si congiungeva con Falerii Novi, Corchiano, Gallese, Fabbrica di Roma e Vasanello (Vignanello). Poi decisamente puntava verso Orte (ed il suo porto di Seripola sul Tevere), quindi Amelia e Todi, Bettona e Perugia. Si spingeva infine verso ovest a raggiungere Chiusi ed oltrepassare Ravenna.

Buona parte dei suoi tratti viari, scippati da altre strade ed asfaltati, fanno parte dei percorsi della rispolverata Via “Francigena”, oggi percorsa da migliaia di persone dirette verso Roma, a ripetere il verso dei pellegrini di mille anni fa! Brevi segmenti superstiti si ritrovano, anonimi, semisommersi in stato di dissesto idro-geologico o danneggiati da interventi devastatori dell’uomo, altri inglobati nel parco di qualche villa, per il piacere megalomane di qualche “falso acculturato” dell’ultima ora, di mostrare nel pieno di un convivio, quale sua proprietà, una “tagliata” od un tratto strada “basolato”, con sornione ammiccamento, proprio del furbetto italiano, vero canchero sociale dei Fratelli d’Italia (del Mameli…)

        Ho personalmente assistito, anni fa, allo sbancamento di un tratto di strada basolato, che scendeva verso il Torrente del Purgatorio, cosa che contrastava con le presunte proprietà di un Signorotto, proprietario di una villa (sicuramente abusiva), nell’intento di tagliare fuori dal nostro mondo quel passaggio bi-millenario. Per nostra fortuna la sua losca attività è stata bloccata prontamente.

      Entrati nel Cavo degli Zucchi, superato il Rio Maggiore, la Via presenta un elegante lastricato in pietra lavica ed ostenta con orgoglio templi e tombe gentilizie monumentali. Il riassunto di un mondo di fascino particolare; in mostra il carattere tenace e nobile del  valoroso popolo Falisco che amava ed onorava i propri defunti e tutto l’aldilà con il suo pantheon e che si onorava di discendere da Halaesus.

Halaesus e le sue leggende.

Nel poema virgiliano, Aleso è il figlio di un indovino originario di Argo. Giunto in Italia dopo la guerra di Troia, alla quale aveva preso parte come auriga di Agamennone, fonda Falerii, capostipite del popolo Falisco, diviene capo di Osci e Aurunci. Si allea con Turno ma viene ucciso da Pallante.

          Riprendendo la nostra via troviamo magnifiche deposizioni del IV secolo a.C., mentre alcune per le vicissitudini proprietarie di quel tempo, ridotte al rango di colombari intorno al II sec. a.C.

 

 

“IL CAVO DEGLI ZUCCHI "

Terminato questo bel significativo “Cavo”, inutilmente si potrebbe ricercare la Via Amerina, ma questa, torna più avanti e più volte, a far capolino verso il Monte Cimino nelle cittadine che furono piccole lucumonie. Basta solo conoscere il territorio. E’ una strada “perduta”, perduta con tutte le sue emergenze sepolte, sepolte con la sua storia e la storia del suo piccolo grande mondo.

Frattanto raggiunta Falerii Novi per strade traverse, ed aggirato un formicaio di case “moderne” penetriamo attraverso la maestosa porta “Giove”, antico accesso della città. Ma ovunque è “PROPRIETA’ PRIVATA”.

Non ci resta che fotografare dall’esterno l’elegante antica Chiesa di S. Maria di Falleri, e l’adiacente Abbazia, aperta al pubblico fino alle ore 13.00, ed osservare attraverso un corridoio transennato con palizzate le poche vestigia visibili della città, il resto è tutto ancora da scoprire e già … con il pretesto che possediamo troppe emergenze archeologiche. Qui i romani avevano relegato gli abitanti di Falerii Veteres, combattuti e dominati, scollati dalla loro bella lucumonia collinare protetta da forre e corsi d’acqua. Condannati per aver ostacolato attacchi alla ricca Etruria! Pesante la sentenza, veri arresti domiciliari per i vinti! Domicilio coatto, prigione dorata e lavori forzati.

Ricordiamo che la città nuova fu fatta completamente costruire dal popolo sottomesso su una vasta pianura ove gli abitanti non avrebbero potuto “incastellarsi” ed intentare una rivolta! Falerii Novi venne cinta da imponenti mura, parte delle quali ancora visibili. Il grande portale, la cosiddetta “Porta Giove”(esistevano anche altri accessi), veniva aperto all’alba, permettendo la fuoriuscita di “contadini” verso i campi di lavoro e richiuso al tramonto, quando l’ultimo lavorante faceva ritorno!

Etruria e territorio Falisco dopo più o meno sette secoli torneranno liberi, alcuni torneranno a far rivivere la loro lucumonia. Era allora l’anno 476 d.C., quando l’ultimo imperatore romano, Flavio Romolo Augusto (spreg. Augustolo) venne deposto ad opera del germanico Odoacre. La conquista romana aveva fatto il suo tempo, ma ormai aveva tagliato le radici alla popolazione falisca. Il cristianesimo spodestato le antiche divinità “pagane”, ed ai falisci rimanevano soltanto ricordi tramandati oralmente, di generazione in generazione (ben 28 succedutesi), che hanno permesso solamente in parte la ricostruzione della loro storia.

FALERII VETERES

(Dal Dizionario illustrato della Civiltà Etrusca – di Mauro Cristofani – ed. Giunti “Firenze 3 Marzo 1985”)

(Dal gr. Falérioi; oggi Civita Castellana – Prov. Viterbo)

Pincipale centro dei Falisci, è considerata, secondo la tradizione che risale a Catone, una colonia argiva fondata dal mitico eroe Halaesus, fuggito da Argo dopo l’uccisione di Agamennone. L’eroe approdò sulle coste tirreniche, risalendo il Tevere fino al luogo ove ha fondato Falerii Veteres; Aleso sarebbe il figlio di Agamennone e della schiava Briseide. Sottratta ad Achille per forza. Questa tradizione è ripresa più tardi da Dioniso di Alicarnaso, che ne sostiene la fondazione ad opera dei Pelasgi. In epoca storica le politiche di Falerii V., sono strettamente connesse a quelle del popolo falisco, di cui essa era la capitale. Falerii partecipò attivamente a fianco dei Veienti alla lotta contro Roma, subendo un saccheggio nel 399 a.C.. Dopo la conquista di Veio ad opera di Furio Camillo, le fonti riportano da un lato l’espugnazione di Falerii nel 395 a.C. e la stipulazione di una pace l’anno successivo, dall’altro la spontanea sottomissione della città e del popolo falisco, a seguito del leggendario episodio del maestro di scuola e del suo fallito tentativo di tradimento (avrebbe aperto le porte della città ai romani). In ambedue i casi è evidente comunque che Falerii non fu definitivamente debellata, tanto che nel 357 partecipò ad una nuova insurrezione falisca contro Roma, a fianco dei Tarquiniesi. Nel 351 venne sconfitta e stipulò una tregua di quarant’anni (indutiae), tramutata nel 343 in trattato di alleanza (Foedus). Nei successivi cinquant’anni i falisci si mantennero fedeli a Roma, e Falerii ospitò nel 298 a.C. un presidio romano. Nel 293 avvenne una nuova rivolta dei falisci e quindi la stipulazione, nello stesso anno, di un trattato di pace con Roma. Nel 241 a.C., al termine della prima guerra punica e a seguito di un’ulteriore insurrezione falisca, Falerii subì sei giorni di assedio, dopo di che capitolò e fu conquistata dai romani. I Falisci furono costretti ad abbandonare la città ed a ricostruirne una nuova più ad ovest non lontano dalla precedente, in una zona pianeggiante, priva delle difese naturali del primitivo centro.

FALERII NOVI ED ABBAZIA

La città romana, si trova sull'attuale territorio comunale di Fabrica di Roma, a circa tre chilometri da Civita Castellana, su una strada che forse potrebbe essere la via Annia, una deviazione della via Cassia; Il perimetro della città é di 2108 metri e la sua forma è approssimativamente triangolare. Le mura sono un esempio notevole, fine e ben conservato, di architettura militare romana.

Sulle mura erano ricavate circa 80 torrette, di cui 50 sono ancora ben conservate. Le porte di accesso erano 8, ed in particolare due di ottima fattura e di dimensioni notevoli. Delle costruzioni all'interno delle mura appena qualche cosa è conservato sopra terra, comunque il foro ed il teatro (come anche fuori delle mura l'anfiteatro e l'arena che misurava 55 per 33 metri) sono stati del tutto scavati nel XIX secolo.

L'unica struttura che ancora si conserva è la chiesa abbaziale cistercense di Santa Maria di Falleri, costruita alla fine del XII secolo per iniziativa di monaci provenienti dalla Savoia. Al portale lavorarono anche alcuni marmorari "cosmati" che probabilmente si ispirarono ad antichi monumenti già in zona.

Vanì, 29-10-2012

 



Documenti sul sito

LE STRADE “ROMANE” – CONSOLARI E PROVINCIALI.

La politica espansionistica romana e le mire verso i ricchi territori limitrofi alla Repubblica, prendono le mosse dalla conquista di Veio, nel IV secolo a.C., posta a poco più di 10 km. da Roma, in territorio Etrusco-Falisco. Di seguito, la continua “escalation” tra guerre e conquiste di altri popoli, sempre più distanti, ha quasi predisposto i romani, per meglio gestire ed amministrare i territori, alla costruzione di strade, che permettessero un rapido e sicuro collegamento con le zone periferiche dominate. E a dire il vero quel popolo risultò particolarmente versato nella costruzione di ottime strade, reti fognarie ed acquedotti, che correvano alcune volte paralleli agli assi viari. La costruzione delle tratte stradali avveniva seguendo valide tecniche, che assicuravano lunga durata. Il manto stradale era formato da una pietra lavica durissima, il basalto, capace di sostenere le più forti sollecitazioni. La stesura dei grossi basoli pentagonali era preceduta da uno scavo profondo 40 o 50 cm, che veniva riempito con pietra terra e sabbia, cementate con malta. Poi, le lastre di basalto, erano tenute ferme, tra loro da petrisco. In questa maniera il fondo stradale filtrava l’acqua piovana, ed il manto superficiale risultava sempre perfettamente asciutto e percorribile in tutte le circostanze. La larghezza della carreggiata stradale, di mt. 4 o 6, costante, permetteva il transito nei due sensi di marcia di due carri. Mentre alcune piazzole, di quando in quando, consentivano a carri più lenti, di lasciar il passo ad altri e non intasare il traffico.

Le strade consolari partivano tutte da Roma, conseguentemente a questa tutte riportavano. Le arterie raggiungevano i confini dell’impero e raramente collegavano le provincie, trasversalmente fra loro, per evitare accordi ed insubordinazioni comuni. Parecchie di esse erano state costruite sotto l’egida di un console e di questi ne portavano il nome, Via Aurelia, Cassia etc.. Altre, pur di una certa dimensione, ricordavano il motivo per cui erano state create: Salaria (trasporto del sale), oppure il nome della località di destinazione Ardeatina (Ardea) Amerina (Ameria).

Queste vie di comunicazione venivano costruite secondo il sistema ortogonale, utilizzando l’etrusca groma (gruma), strumento che consentiva di mantenere l’itinerario sempre diritto rispetto al punto di partenza. Ad ogni miglio era posta una pietra “miliare”, numerata, che portava il nome della strada, la distanza da Roma e quella per giungere al termine. La prima pietra miliare, posta a Roma, era detta “miliario aureo”. Nei tratti urbani erano ricavati passaggi pedonali su pietre, che sporgevano dal terreno ad una distanza, tra le stesse, tanto da permettere il transito delle ruote dei carri ed il passaggio dei pedoni sulle pietre sopra il livello di eventuali allagamenti. La manutenzione delle strade era affidata ai centri urbani collegati. I tracciati stradali superavano i corsi d’acqua attraverso appositi ponti, eretti con criteri e tecniche valide. Molte di queste strutture risultano ancora attive e probabilmente lo saranno ancora per molto. I piloni venivano realizzati entro gabbie lignee, formate da una serie circolare di pali conficcati nel letto del fiume. Pompe idrovore asciugavano l’acqua entro queste gabbie di legno ed al termine cominciava la erezione dei piloni con ciclopici macigni alla base, e via via con pietre sempre più piccole abilmente sagomate, rette con malta cementizia romana.

Lungo tutte queste strade erano poste, per uso e servizio, tra un centro urbano e l’altro, tutta una serie di strutture che rispondevano al nome di: “mansiones”, “cauponae”, “mutationes” “stationes”, “tabernae“,

  • MANSIONES: Poste ad una distanza di 15 – 20 miglia, l’una dall’altra, erano alberghi per usi ufficiali di dignitari del popolo romano. L’ospite veniva identificato da passaporto ed autorizzato all’accesso nella “mansione”

  • CAUPONAE: Poste più o meno vicine alle precedenti (locande), erano punti di sosta e riposo della gente comune, ma di reputazione inferiore. Erano frequentate anche da gente poco abbiente, da ladri e prostitute.

  • MUTATIONES: Era il punto di cambio dei cavalli, utilizzate in particolare dai postiglioni, che trasportavano posta ed altre spedizioni di un certo valore e riguardo.

  • TABERNAE: Erano ostelli, punti di sosta e ristoro per tutti, anche per i più abbienti ed erano le progenitrici degli attuali autogril, ove ci si poteva ristorare con una buona tisana, del mosto, dell’acqua fresca di sorgente, e mangiare del buon pane e salumi del luogo.

  • STATIONES: Assimilabili alle attuali stazioni autobus/ferroviarie, erano punti di fermata e sosta per servizi di trasporto promiscuo persone/cose.

Sappiamo che i viaggi su queste strade non erano celeri. Ci si metteva in viaggio per giorni, con particolari vesti ( sopravvesti, spolverini da viaggio, che salvavano le vesti dal polverone delle strade) e si percorrevano 30 o 40 chilometri al giorno. Ci si fermava presso le stationes pernottando nelle cauponae, ove si poteva cenare con un piatto di calda minestra, della carne ed un buon bicchiere di vino che il luogo, generalmente dispensava. Non infrequenti erano le aggressioni dei briganti o malfattori, in agguato su particolari postazioni naturali lungo le strade, che sottraevano ogni cosa al seguito dei viandanti, fino a mettere a repentaglio la loro sopravvivenza. Non vi erano allora persone che sovraintendevano alla incolumità dei viaggiatori. Soltanto pochi dignitari potevano contare su scorte armate al seguito, che assicuravano incolumità da ogni scorreria.

I sistemi di trasporto erano il cavallo, il mulo, carri a trazione animale, principalmente cavalli o buoi. E ci si metteva in marcia per mille motivi, raggiungere parenti in località limitrofe, andare a Roma per lavoro, per commerciare, per assistere a spettacoli gladiatori, per cause civili, per visitare la Città, per cercare fortuna, pur senza contare talune volte, giunti a destino, su un riferimento certo. Particolarmente intenso era il trasporto di derrate alimentari nonché, senza alcun controllo, il passaggio di bestiame brado (cavalli, mucche, pecore) diretto ai mattatoi e verso gli ampi mercati di Roma.

Le strade costruite dai romani, generalmente per scopi militari o commerciali, raggiunsero, nel periodo della massima espansione della tarda repubblica 80.000 / 100.000 chilometri di estensione, la maggior parte di queste rappresentano ancora  il tracciato dell’attuale rete stradale europea. 

La mappa generale delle vie di comunicazioni consolari romane, era realizzata in marmo, ed era esposta al foro romano. Era questa una forma orgoglio del popolo, a cui venivano ostentatati i risultati della politica espansionistica centrale romana e metteva in risalto le conquiste territoriali e le eccezionali e molteplici vie di comunicazione realizzate.

Sempre presso il foro romano erano in vendita pergamene che ricalcavano parziali tracciati delle strade romane che dovevano servire, a guisa delle nostre carte stradali, per orientamento e per consentire di intraprendere, con sicurezza, viaggi entro i territori dominati. Chissà in quale archivio sono finite tutte queste copie di carte stradali. Oggi sarebbe favoloso possedere una di queste pergamene.

La “tabula” Peutigenriana

Quando l’umanista ed antichista Konrad Peutinger, cercò di pubblicare la famosa “tavola”, che peraltro ereditò dal suo amico Konrad Bichel, che rappresentava la carta di 200.000 chilometri di strade romane, su 11 pergamene, non avrebbe certamente mai immaginato che il suo cognome avrebbe viaggiato nel tempo. Correva allora l’anno 1540 circa. Ma morì, il Peutinger, come il Bichel, prima di riuscire a raccogliere i frutti del suo progetto.

La carta porta la posizione delle città, dei mari, dei fiumi, delle foreste e delle catene montuose. Essa non è una riproduzione fedele della realtà geografica, non era stata concepita per questo, tutt’altro, non esistevano neanche i mezzi per conoscere perfettamente la forma dei continenti. Essa deve essere considerata come rappresentazione simbolica geografica, una sorta di diagramma, una indicazione tale e quale a quelle che si trovano sulla porta di ingresso delle metropolitane, e che danno contezza sulla sequenza delle fermate, delle località toccate, delle distanze e della conformazione orografica relativa.

La “tabula” è, probabilmente, stata realizzata nel I II Secolo d.C., su una copia della carta del mondo elaborata da Marco Vipsanio Agrippa  del 64 a C. - 12 a C., genero dell’Imperatore Augusto. La redazione del documento si deve alla illustrazione, al senato romano, della rete viaria pubblica, della illustrazione delle stazioni di posta, delle località toccate e delle distanze calcolate in miglia romane (un miglio km.1,480).

La carta fu incisa su marmo e posta sotto il Porticus Vipsaniae, prossimo all’Ara Pacis, lungo la Via Flaminia. La “Tabula” rappresentava tutto l’impero romano, l’Oriente, l’India, riportava il Gange e o Sri Lanka, e vi era menzionata anche la Cina.

Ben 555 città erano evidenziate, con altri 3500 punti di interesse geografico. Santuari, fari ed altre emergenze importanti, sui tracciati stradali.

La Tabula, come anzi detto, era composta da 11 pergamene, ma una dodicesima, forse smarrita, doveva rappresentare la Penisola Iberica, risultata mancante.

La Tabula attuale, è stata stampata nel 1591 ad Anversa ricopiando l’originale, con il nome di “Fragmenta tabulae antiquae”, dall’editore Johannes Moretus. Il manoscritto è datato nel XIII secolo. Sarebbe opera di un copista di Colmar, che avrebbe riprodotto intorno al 1265 il documento più antico.

La prima copia originale doveva comunque essere posteriore al 328 perché riportava la città di Costantinopoli, che fu fondata in quell’anno, mentre per altri particolari, si ritiene che riporti località già presenti in epoche antecedenti al 109 a.C.

Tale tavola è tutt’oggi in vendita, in copia, anche tramite “internet”, e rappresenta un quadro ornamentale per uffici di viaggio ed altro. E’ comunque un documento molto legato alla nostra storia e cultura, scippato dal solito viaggiatore europeo, che scartabellando gli innumerevoli archivi comunali e parrocchiali del nostro Paese, rinvenendo l’interessante documento, ha intravisto la possibilità di arricchirsi con la pubblicazione e vendita di innumerevoli copie. Rappresenta ciò, un attestato, un inventario storico della rete stradale italiana/europea, di alcuni tratti viari oggi scomparsi perché non più percorsi (Via Amerina ad esempio!) che per cultura oggi sentiamo la necessità di ritracciare, al fine di riscrivere la nostra storia, di capire movimenti e strategie dei popoli, per riappropriarci della nostra realtà e per avvertire, sempre vicine a noi, le nostre radici!

 

          


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